“Il 6 e 9 sono un problema di tutti noi”, persona per persona. Non c’entra niente con il concetto di Nazione o con l’ideologia: riguarda la nostra sopravvivenza di uomini e donne. Io credo che questa convinzione profondamente radicata sia stata la molla che ha spinto trenta ma in alcuni giorni anche quaranta persone di ogni età , di molte regioni italiane a usare le ferie o a rinunciare ad una vacanza al mare, per inforcare una bici, per correre lungo le strade nervose del Lombardo Veneto. Trecento chilometri per affermare un idea.
Per incontrare le associazioni del territorio perché “noi non siamo multinazionali per cui delocalizzare qui o là nel mondo ci è indifferente”, perché per noi ogni territorio è espressione di sogni, di bellezza, di ricchezza etica, di uomini e di donne che con la loro fatica e la loro voglia di essere onesti e giusti alla fine si mettono in testa anche di cambiare un poco persino la narrazione del mondo. Rendendolo magari langerianamente “ un po’ più lento, un po’ più profondo”, un po’ più capace di danzare la vita, un po’ più folle e desideroso di regalare felicità . Perché, semplicemente perché, siamo a conoscenza tutti
Del fatto che anche la felicità è un bene pubblico, un bene collettivo . O lo è per tutti o non è .
Ottanta ruote di bici, bici scassate e gioiellini tecnologici, tutte insieme in una lunga fila indiana che sembravamo una colonna di formiche in cerca di sazietà, per incontrare sindaci e assessori in municipi polverosi, in piazze addormentate dove i display luminosi segnavano sempre ostinatamente i trentacinque o i trentanove gradi. Per sottoporre loro la richiesta di adesione a Major For Peace, per chiedere loro di sottoscrivere petizioni, per chiedere di non imprigionarsi nel localismo la loro delega politica ma di fare “guerra alla guerra”in un luogo dove le caserme e le basi recintano ogni angolo di vita togliendo il sapore del verde e dell’orizzonte alla vita quotidiana che abita attorno.
Una colonna di assetati di “pane e di giustizia” che per restare vivi pedalava stravolto ma mai domo, ingurgitando ogni ora quantità enormi di oro blù. Che cercava di dormire in luoghi spartani o piu’ semplicemente all’aperto cercando nei ritagli del cielo un refolo di aria fresca per continuare a pigiare sui pedali. Con la forza che veniva sempre meno ma anche con la convinzione elegantemente poetica di buttare il cuore oltre l’ostacolo.
Questo e molto altro è stata Paceinbici, la protesta itinerante promossa dai Bcp alla quale come Mir Movimento Nonviolento avevamo dato adesione e alla quale abbiamo partecipato con un piccolo gruppo di lomellini e un torinese. Certo lungo la strada a tratti i clacson ci accompagnavano e sottolineavano il valore della protesta, ma il clima generale era profondamente ostile. Diciamocelo chiaramente ripeteva Don Albino Bizzotto, questo strano prete che aveva portato migliaia di volontari dentro alla guerra nel 92 e nel 93 per cercare di fermare la barbarie del conflitto iugoslavo ai confini di casa, “ alla gente e soprattutto ai politici fa molto più paura tre ragazzi neri che fuggono dalla tortura da un paese africano che la minaccia della bomba atomica” .
E la politica nazionale e internazionale sottolineava proprio negli stessi giorni questo concetto, introducendo ramponi sotto i nostri nuovi e costosissimi F35 per portare in caso di bisogno, le nostre brave atomiche, ora dentro agli hangar di Ghedi e di Aviano, oppure preparando tra poche settimane la più grande esercitazione militare con la Nato nel Mediteranno dai tempi della guerra fredda. Dispiegamento che serve,secondo Alex, come grimaldello per immaginare la prossima guerra possibile a partire dalla Libia.
Sappiamo che se era opinione degli americani che il Giappone dovesse venire colpito nel ‘45 nella sua anima profondamente guerrafondaia, quella che risale ai tempi dei samurai e che nei secoli era diventata una specie di culto religioso per molti cittadini nipponici,ora settant’anni dopo, quell’anima mai sopita risorge. Shintzo Abe vuole cambiare la Costituzione giapponese che esclude la creazione di forze armate a scopo aggressivo, cosa che includerebbe, vista la tecnologia di cui sicuramente il Giappone dispone, anche l’atomica.
Paceinbici , comunque, nonostante il clima torrido e politico decisamente “ sfavorevole” , volava sulle ali dell’entusiasmo , anno dopo anno i bambini al seguito continuavano a costruire e a regalare gru colorate e papaveri rossi simbolo dei morti sui tanti campi di battaglia ma anche della più bella ballata antimilitarista che De Andre’ sia mai riuscito a colorare di musica.
A quell’atto immorale sul piano etico i ciclisti rivendicavano il diritto umano alla pace. E a me è sembrato stranamente, che le forze in campo non fossero cosi’ straordinariamente diseguali come avrebbe potuto notare un osservatore esterno e che nonostante i sorrisi di compatimento della gente che ci vedeva transitare, nonostante i loro “siete patetici” e l’indifferenza generalizzata elevata a sistema , le nostre bandiere , i nostri volti riarsi dalla fatica, gli sguardi immobili verso un traguardo che sembrava non arrivare mai,avessero da raccontare qualcosa di meglio, di altro. Di diverso.
Lo coglievi nelle parole di chi le bicinpace le aveva fatte più o meno tutte quante come , nella serietà di Nico che trasportava i nostri zaini e che pianificava la logistica, che impressionava chilometri di pellicola non di figure affrante ma di frammenti di vita. E poi tutti gli altri di cui per la mia età non più cosi verde ho già perso il ricordo dei nomi, ma non i gesti, gli sguardi, le attenzioni, le parole, la tenerezza, l’allegria, l’ironia, la simpatia, l’accoglienza.
Gli amici lomellini del Mir sono tornati ieri a notte fonda nelle loro case, inzuppati da una bufera d’acqua non prevista e non amata, dopo un pomeriggio rincorso a saltimbeccare coincidenze impossibili e a guardare con orrore i monitor di Trenitalia ammiccanti di treni soppressi e cancellati. Che importa?
Io ho poche certezze nella vita. Una è sicuramente che se Albino mi chiedesse di ripartire domani per una nuova tappa, non ci starei a pensare. Perché ci sono cose sulle quali non puoi permetterti di essere indifferente. Proprio perché sei cosi’ piccolo e la bomba è cosi’ grande, proprio perchè non conti nulla rispetto ai mille Golia che parlano tutto il giorno nei telegiornali del mainstream, proprio perché non hai difendere nulla se non un paio di idee sopravvissute nel nuovo millennio e una manciata di sogni legati con lo schotch, ecco proprio per questo ripartirei.
Magari con un paio di ore di ritardo ma solo per trovate una borraccia più grande, per riparare la camera d’aria. Si sa del resto che le bici a buon mercato che vendono al supermercato sono lucide di smalto e di adesivi ma povere di tubolari e di freni. Però vanno forte come le altre, soprattutto se chi le spinge è un idea grande come quella di Albino.
Adriano Arlenghi