Mons. Oscar Romero, testimone di giustizia e pace

Quarant’anni sono trascorsi dal martirio di Mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, testimone coraggioso dell’amore di Gesù Cristo, difensore degli oppressi, amico dei poveri. Vissuto nel periodo in cui il suo paese (El Salvador) e quasi tutti i paesi dell’America Latina erano sottomessi da dittature militari, è stato al fianco del suo popolo nella lotta per giustizia, la pace e la conquista dei diritti umani, vincendo la sua naturale timidezza e l’originale conservatorismo, che gli avevano meritato la nomina ad arcivescovo, da una chiesa tradizionalmente reazionaria.
Prestando ascolto alla gente sfruttata dai potenti latifondisti, che reprimevano ogni manifestazione ed eliminavano i rappresentanti sindacali dei lavoratori, capì che non poteva rimanere passivo, ma fu in seguito all’uccisione dell’amico gesuita, padre Rutilio Grande che prese decisamente le difese del suo popolo. “Come pastore e come cittadino salvadoregno mi affligge profondamente che si continui a massacrare il settore organizzato del nostro popolo solo per il fatto di uscire ordinatamente sulla strada a chiedere giustizia e libertà. Sono sicuro che tanto sangue versato e tanto dolore causato ai familiari delle numerose vittime non sarà senza effetto. È sangue e dolore che irrigherà e feconderà nuove e sempre più numerose sementi di salvadoregni coscienti della responsabilità di costruire una società più giusta ed umana”.
Cercò sempre una soluzione nonviolenta al conflitto sociale, chiedendo a tutti di deporre le armi, fino al giorno prima di essere ucciso, quando fece un temerario appello ai soldati: “Fratelli, che fate parte del nostro stesso popolo, voi uccidete i vostri stessi fratelli contadini! Mentre di fronte a un ordine di uccidere dato a un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice: Non uccidere! Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. Una legge immorale, nessuno è tenuto a osservarla. È ormai tempo che riprendiate la vostra coscienza e obbediate alla vostra coscienza piuttosto che alla legge del peccato. La Chiesa, sostenitrice dei diritti di Dio, della dignità umana, della persona, non può restarsene silenziosa davanti a tanto abominio(…) In nome di Dio, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono ogni giorno più tumultuosi fino al cielo, vi supplico, vi prego, vi ordino: cessi ogni repressione!”. Sapeva di rischiare di essere ucciso, l’avevano minacciato un mese prima: “Io parlo in prima persona perché questa settimana mi è arrivato l’avviso, che sto nella lista di coloro che stanno per essere eliminati la prossima settimana. Ma sia ben chiaro: nessuno potrà mai uccidere la voce della giustizia. … Chi crede in Cristo, sa di essere un vincitore e sa che la vittoria definitiva sarà della verità e della giustizia”.
Il pomeriggio del 24 marzo 1980 un killer inviato dal regime gli sparò mentre celebrava la messa, dopo aver detto dell’eucaristia: “Che questo corpo immolato e questo sangue sacrificato per gli uomini ci spinga a dare anche il nostro corpo e il nostro sangue al dolore e alla sofferenza come Cristo; non per noi stessi ma per dare al nostro popolo frutti di giustizia e di pace”.
Nel suo libro “Oscar Romero beato. Martire della speranza”, Mons. Luigi Bettazzi, profondamente legato al confratello vescovo salvadoregno, di lui ha scritto che è stato: “martire perché si è sempre ispirato al Vangelo e alla fedeltà a Cristo, per la solidarietà verso i fratelli più poveri e più perseguitati, e perché con la sua vita e la sua morte ha diffuso la realizzazione e l’attesa del regno di Dio e può quindi essere venerato come “martire della speranza”, dato che lui stesso affermava che compito della Chiesa è dare speranza ai poveri”.
Il popolo salvadoregno (ma anche tanti come Mons. Bettazzi e come me) l’ha sempre considerato santo, ma solo trentacinque anni dopo Papa Francesco, che aveva provato in Argentina l’atrocità di una dittatura militare, volle la sua beatificazione, celebrata il 23 maggio 2015 a San Salvador.
Papa Francesco, nella lettera inviata all’arcivescovo di San Salvador che ha presieduto la celebrazione, aveva scritto: “Quanti hanno monsignor Romero come amico nella fede, quanti lo invocano come protettore e intercessore, quanti ammirano la sua figura, trovino in lui la forza e il coraggio per costruire il Regno di Dio e impegnarsi per un ordine sociale più equo e degno.”
Questo deve essere il senso del ricordo di Mons. Romero, per il Salvador che ancora non trova pace, per la Chiesa che a vari livelli fatica a seguire i profeti e il suo maestro e Signore, per l’umanità che continua ad essere divisa tra ricchi e poveri, e non si decide a cercare la vera pace, sulla via della nonviolenza, dei diritti e della giustizia, senza armi distruttive e omicide.

Ivrea, 24 marzo 2020

Pierangelo Monti, Presidente del MIR

 

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