Sono passati vent’anni (27 agosto 1999) dalla morte di Dom Helder Camara, vescovo brasiliano che ha entusiasmato tante persone, cattolici e non, di ogni continente, che hanno creduto e cercato un mondo più giusto.
In lui abbiamo visto un maestro e un testimone di autentica vita cristiana, profeta della liberazione dei poveri oppressi da sistemi ingiusti e violenti, costruttore di pace con la nonviolenza attiva, rinnovatore scomodo della Chiesa cattolica durante e dopo il Concilio.
La forza delle sue parole nelle conferenze e nelle manifestazioni era rafforzata dal suo gesticolare espressivo, ma ancor più dalla coerenza di vita: era portavoce dei poveri perchè conduceva una vita sobria; parlava di pace e di giustizia, riuscendo a stimolare in noi un maggiore impegno, perchè non si fermò di fronte alle minacce dei militari, che negli anni sessanta dominarono in Brasile, e torturarono e uccisero il suo segretario e altri collaboratori (i muri della sua casa di Recife portavano i segni delle raffiche di mitra); comunicava la fede in Gesù Cristo avendo una profonda spiritualità incarnata nella vita reale e alimentata dalla preghiera.
Porto in me il ricordo delle marce e delle conferenze organizzate dal movimento Mani Tese, negli anni della mia adolescenza, quando era presentato come, e per me divenne, personaggio di riferimento, tanto da invogliarmi a fare il missionario in un paese del Terzo Mondo.
Ma il ricordo più bello di lui è dovuto a un altro vescovo maestro e profeta, un altro cosidetto “vescovo rosso”, costruttore di pace, il carissimo Mons. Luigi Bettazzi, che invitò l’amico dom Helder a Ivrea il 4 ottobre 1981, giorno in cui festeggiavo a Ivrea il mio matrimonio. Lo accompagnò alla festa in Oratorio, prima di andare alla conferenza in teatro gremito di gente (oggi le norme di sicurezza non permetterebbero più di sedermi con la mia sposa e altri per terra nel corridoio centrale del teatro Giacosa). Ricordo come con ampi gesti sollecitasse i cristiani a vivere le due dimensioni della croce: quella verticale verso Dio e quella orizzontale, delle braccia aperte verso i fratelli (come già scrivevo in occasione del decennale della morte di Camara https://www.ildialogo.org/testimoni/Ricordi_1251369638.htm ).
Gli insegnamenti di Dom Helder rimangono tuttora e sempre validi; come dice il vescovo Luigi:
“Di quel che auspicava Camara qualcosa è stato fatto e molto resta da fare”, nella Chiesa e nella società, sempre guardando la realtà dal punto di vista degli ultimi, dei poveri, degli emarginati, delle periferie (come direbbe Papa Francesco). Immagino come sarebbe contento Dom Helder di questo Papa, per come vive e come parla. Con lui certamente ripeterebbe gli appelli alla fratellanza, alla solidarietà con chi fa più fatica, all’apertura a tutti, al rispetto dei diritti umani, alla pace e allo sviluppo, destinando i capitali investiti in armamenti per i veri bisogni della gente. Oggi sicuramente alzerebbe la sua voce contro la devastazione della foresta Amazzonica, al fianco delle povere popolazioni indigene.
Concludo con una poesia di Helder Camara, presa da un suo libro “Il deserto è fecondo”.
Metti il tuo orecchio contro la terra
e interpreta i rumori.
Quello che domina
sono dei passi inquieti e agitati,
passi pesanti di amarezza e di ribellione…
Non si sentono ancora
i primi passi della speranza.
Accosta di più il tuo orecchio alla terra.
Trattieni il fiato.
Libera le tue antenne interiori:
il Maestro cammina lì vicino.
E’ più facile che sia assente
nelle ore felici
che in quelle dure,
dai passi malcerti e difficili…
Pierangelo Monti
Presidente del MIR